Studio Legale Pietrangeli Bernabei
28-02-2024

Comodato verbale

La mansarda data al figlio dai genitori resta all′ex moglie



Corte di cassazione - Sezione III civile - Ordinanza 21 aprile-29 settembre 2023 n. 27634

LA MASSIMA
Comodato - Obbligazioni - Presunzione di concessione d′immobile per esigenze familiari - Recesso ad nutum del comodante - Inesperibilità - Sussiste. (Cc, articoli 1803, 1809 e 1810)
Ove possa presumersi che il comodante abbia concesso al comodatario di abitare gratuitamente un immobile per soddisfare le esigenze della famiglia, non potrà ottenerne ad nutum ex articolo 1810 Cc il rilascio neppure se esso si trovi occupato dalla sola ex moglie del comodatario, collocataria dei figli, e neppure, ex articolo 1809 del Cc, ove ne abbia bisogno, qualora lo stato di bisogno non fosse imprevedibile all′instaurazione del rapporto.

L′esigenza futura di disporre del bene era prevedibile e andava "blindata"
Niente di più comune che i genitori consentano a un figlio ormai grande di abitare nella mansarda o comunque in un annesso della propria casa, ma i problemi insorgono, e anche ciò è più che comune, quando questa concessione non venga supportata da apposite specifiche "blindate" pattuizioni scritte, e magari registrate, che possano consentire ai genitori di riavere l′immobile a semplice loro richiesta, specie quando le cose cambiano. Certo non è simpatico fra genitori e figli, ma è quanto in concreto non risulta che fare, dalla lettura dell′ordinanza n. 27956/2023 della Terza Sezione della Suprema Corte, nell′esaminare le conseguenze di una mansarda consegnata "brevi manu" al figlio: i genitori ne hanno poi perso la disponibilità, benché non vi abiti più lui, ma la ex nuora e i nipoti, e chissà per quanto tempo, quasi certamente non prima della morte dei genitori che avevano concesso l′uso gratuito della mansarda al figlio. E anche sotto quest′ultimo aspetto posson sorgere problemi in capo agli eredi, per una scadenza di un comodato in concreto sine die e per la reale fisionomia di un rapporto di tal fatta ai fini della divisione ereditaria ed eventuale collazione.

Il caso
I genitori concedono al proprio figlio di abitare gratuitamente nella loro mansarda posta sopra al proprio ampio appartamento; dopo un anno nasce un bambino dalla compagna del figlio, che si trasferisce nella mansarda, poi si sposano e nasce un altro figlio. Dopo circa dieci anni ecco la crisi matrimoniale, prima la separazione e poi il divorzio, nella cui pronuncia la mansarda è assegnata alla ex moglie, presso la quale vengono anche collocati i figli minorenni. I genitori allora agiscono in giudizio per ottenere la restituzione della mansarda, assumendo di averne necessità per adibirla ad abitazione della badante e relativi familiari, del cui ausilio hanno costante bisogno, stante la loro età avanzata e il loro stato di salute. La domanda viene accolta dal tribunale, ma di contrario avviso è la corte d′appello - adita a seguito d′impugnazione della moglie divorziata del figlio - che non dispone il rilascio della mansarda.
La sentenza rileva che i genitori col tempo avevano inteso trasformare il rapporto in comodato al fine di soddisfare le esigenze della futura famiglia del figlio tant′è che non avevano richiesto la restituzione della mansarda per più di dieci anni, finché col deterioramento del rapporto, la casa coniugale era stata assegnata a essa ex moglie; inoltre le assunte esigenze di poter disporre dell′immobile non sarebbero state imprevedibili al momento dell′instaurazione del rapporto di concessione in comodato.
Per la riforma di tale decisione bussano ora alla porta di Piazza Cavour i genitori, mentre il figlio, benché convenuto contumace in primo grado, sintomaticamente aderisce in sostanza alle tesi dei propri genitori.

Presunzione di contratto di comodato
Traspare innanzitutto chiaramente dalla vicenda che i genitori, nel concedere gratuitamente l′uso dell′abitazione al figlio, come d′uso non abbiano stipulato alcun accordo scritto, e ciò non deve certo sorprendere, in considerazione dei rapporti di fiducia, confidenza e lealtà caratteristici fra strettissimi congiunti. Occorre allora stabilire, in considerazione della comune intenzione delle parti, la natura giuridica, il "nomen iuris" del rapporto, il quale non può che assumere i requisiti indicati dall′articolo 1803 Cc: il comodato è il contratto col quale una parte consegna all′altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l′obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta, precisando il comma 2 che il comodato è essenzialmente gratuito.
Non osta, ai fini dell′individuazione del contratto di comodato, che non risulti uno straccio di scritto che lo supporti, neppure se il rapporto, come nella vicenda che ci occupa, si sia protratto per dieci anni. Difatti il comodato, neppure se avente per oggetto un immobile, non rientra entro l′enumerazione fissata dall′articolo 1350 Cc per la forma scritta "ad substantiam", concernendo il vincolo della durata superiore a nove anni di cui al punto 8) soltanto i contratti di locazione di beni immobili. E, quel che più conta, l′esistenza del comodato immobiliare può essere provato anche per testi e perfino per presunzioni (Cass. n. 8548 del 2008).
Si è trattato quindi nella specie di un contratto verbale di comodato, o meglio presunto perché perfezionato "per facta concludentia" mediante la consegna dell′immobile al figlio. In tali condizioni evidentemente il comodatario, o chi per lui, non può assumere che il comodato sia stato stipulato a termine, e quindi dovrebbe applicarsi l′articolo 1810 Cc (Comodato senza determinazione di durata) a norma del quale se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall′uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede. Dunque i genitori potevano richiedere ad nutum di riavere indietro la mansarda, secondo quanto era stato nella specie deciso dal tribunale.

La destinazione a esigenze abitative familiari
Alt! C′è un disco rosso dalle Sezioni Unite, un orientamento che in questo caso sa più di "diritto vivente": occorre individuare se sussista un vincolo di destinazione in favore delle esigenze abitative familiari mediante un accertamento che postula una specifica verifica della comune intenzione delle parti, compiuta attraverso una valutazione globale dell′intero contesto nel quale il contratto si è perfezionato, dalla natura dei rapporti tra le medesime , degli interessi perseguiti (Sez. Un. n. 13603 del 2004).
Una volta accertata la sussistenza di questo vincolo, non può che entrare in scena la diversa disciplina prevista dall′articolo 1809 Cc, a norma del quale il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto; se però, dispone il comma 2, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata.

La decisione
Tirate le somme, rileva ora l′ordinanza n. 27956/2023, nella fase di merito è stato provato che la mansarda era stata data al figlio per le esigenze della famiglia e quindi, come disposto nel provvedimento di divorzio ex articolo 337-sexies, Cc, doveva rimanere assegnata alla ex moglie, presso la quale erano stati collocati i figli minorenni. E il bisogno dei vecchi genitori per la badante? Rien a faire, la loro casa era già abbastanza grande, e ci dovevano pensar prima che sarebbero invecchiati con gli immancabili acciacchi!

Osservazioni e conseguenze
Va osservato tuttavia che dapprima la mansarda era stata consegnata al figlio scapolo, e poi i genitori avevano lasciato che tenesse presso di sé moglie e bambini: in mancanza di specifiche prove non si è trattato di una precisa volontà negoziale, ma di atti di tolleranza che come tali non mutano il titolo. Poi si addebita che il figlio, in sede di divorzio, avesse chiesto che la mansarda venisse assegnata alla moglie: ma si tratta di iniziative della controparte nel rapporto contrattuale, del comodatario, che non può evidentemente pregiudicare in alcun modo i diritti dei comodanti. Per vero hanno però rilevato le Sezioni Unite con sentenza n. 13603/2004 che la destinazione a casa familiare, finalizzata a consentire un godimento per definizione esteso a tutti i componenti della comunità familiare, comporta che il soggetto che formalmente assume la qualità di comodatario riceva il bene non solo o non tanto a titolo personale, quanto piuttosto quale esponente di detta comunità, sicché tale vincolo non può considerarsi automaticamente caducato nemmeno per il sopravvenire della crisi coniugale, prescindendo quella destinazione. dunque, tenendo conto di questo precedente, né l′ex moglie, e men che meno i bambini, potrebbero considerarsi "terzi" rispetto al rapporto di comodato.
É comunque, quella adottata con ordinanza n. 27956/2023, una decisione che fa riflettere e merita di essere approfondita, anche perché si tratta di situazioni sempre più ricorrenti data la penuria degli alloggi, con le difficoltà dei giovani a farsi una strada nel lavoro, e le nient′affatto improbabili successive crisi di coppia e relativi strascichi. L′ordinanza n. 27956/2023, come pure i precedenti si cui poggia, si avvale in ripetuta misura di presunzioni, ma sembra un po′ azzardato decidere in via semplicemente presuntiva e di verosimiglianza su situazioni vitali, quali il diritto di abitare, proiettate praticamente "sine die", allorché i supposti accordi siano stati soltanto verbali (verba volant) o, come appunto sembra nella specie, addirittura taciti.
L′ordinanza n. 27956/2023 tiene beninteso a ricordare che la valutazione dei fatti è stata effettuata dal giudice del merito, e quindi sfugge al sindacato di legittimità, in quanto immune da vizi logici e giuridici, ma la peculiarità di questa discutibile decisione suscita perplessità e quasi sgomento almeno per i poco abbienti, ove si consideri che tutte le precauzioni poste dall′ordinamento in tema di limiti di forma e di sostanza nelle liberalità in materia immobiliare possono tranquillamente considerarsi scavalcati, e anche rispetto a terzi estranei al rapporto contrattuale, ove a monte si presumano - o forse per meglio dire si suppongano - sussistere intenzioni, o addirittura mutamenti d′intenzione, inerenti a un rapporto di comodato fra genitori e figli. Superfluo osservare che in via generale i genitori non hanno alcun obbligo di mettere a disposizione una proprietà ai figli, e men che meno ai nipoti e all′ex nuora, sussistendo il proprio obbligo di mantenimento in specifiche ipotesi in relazione ai figli; e, quanto ai nipoti, i nonni sono limitatamente tenuti soltanto ove nessuno dei due relativi genitori sia in grado di sopperire. Difatti, stabilisce l′articolo 316-bis Cc (Concorso nel mantenimento - Dlgs 154/2013) che i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo; quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.
La situazione ora decisa dall′ordinanza n. 27956/2023 potrebbe venire a riprodursi, con poche varianti e scarse possibilità di soluzioni alternative, anche in assenza di vincolo coniugale, nella famiglia di fatto, nel rapporto more uxorio, come da interpretazione giurisprudenziale consolidata, e è in quell′ambito che modalità applicative e le conseguenze si fanno evidentemente più delicate, risultando a volte evanescenti precisi punti di riferimento.

L′aspetto successorio
L′articolo 1811 Cc. ha disciplinato specificatamente soltanto la morte del comodatario come causa di scioglimento del contratto, e non la morte del comodante. In questo secondo caso perciò gli eredi del comodante succedono in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo al de cuius, compresi quelli obbligatori, ricavando la regola generali della trasmissibilità per causa di morte in tutti i rapporti contrattuali. Dunque nel caso di comodato concesso per esigenze della famiglia del comodatario la situazione va a prolungarsi in pratica indefinitamente, il che la rende ancor più sgradevole per i coeredi prospettandola all′ipotesi ora decisa con ordinanza n. 27956/2023, ove si consideri che l′ex moglie, oltre i nipoti, hanno diritto di abitare gratis nell′appartamento concesso in comodato al figlio per un periodo proiettato fino al momento in cui i nipoti siano da considerare economicamente indipendenti, vale a dire sine die, almeno nel contesto in cui viviamo: viene così a configurarsi una situazione che poco si differenzia dalla donazione, e per di più non al figlio, estromesso dalla causa.
I coeredi potrebbero richiedere la restituzione dell′immobile soltanto nell′ipotesi di lor urgente e imprevisto bisogno di utilizzo dell′immobile ex articolo 1804 Cc; potrebbero pure verificarsi le ipotesi di cessazione del vincolo per morte anche del comodatario ex articolo 1811 Cc, ovvero qualora il comodatario venga meno ad una delle sue obbligazioni ex articolo 1809 Cc, comma 2.
In ambito successorio si pone poi il problema, in particolare se vi concorrano più figli, della valutazione, al fine del riparto, di quanto sia stato beneficiato in virtù del comodato. Secondo una linea giurisprudenziale costante (da ultimo Cassazione, Sezione 2, Sentenza 16 novembre 2017, n. 27259) in tema di divisione ereditaria, il godimento a titolo gratuito di un immobile concesso durante la propria vita dal "de cuius" a uno degli eredi, da inquadrarsi necessariamente nel contratto di comodato, non è qualificabile come donazione soggetta a collazione, atteso che l′utilità per il comodatario consiste nell′uso personale, gratuito e temporaneo della cosa, e ciò - rileva detta sentenza - risulta incompatibile con l′illimitata rinuncia alla disponibilità del bene che caratterizza la struttura e la finalità della donazione nella quale la predetta utilità costituisce il risultato finale dell′atto posto in essere dalle parti. Ma allora è da chiedersi se - pur tenendo ferma tale benché discutibile linea interpretativa - proprio in ipotesi assimilabili a quella esaminata ora dall′ordinanza n. 27956/2023 venga ineluttabilmente a doversi considerar configurata, come si è visto, l′illimitata rinuncia alla disponibilità del bene che caratterizza la struttura e la finalità della donazione.