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10-03-2024
Anzianità lavorativa - Corte Costituzionale
Illegittimità costituzionale dell′art. 51 comma 3 L. 388/2000
Come noto, con la sentenza della Corte Costituzionale n. 4/2024 è stata dichiarata l′illegittimità costituzionale dell′art. 51, comma 3 della legge n. 388/2000 (Legge finanziaria 2001) che escludeva la proroga al 31 dicembre 1993 quale termine utile per la maturazione dell′anzianità di servizio ai fini dell′ottenimento della maggiorazione della RIA ai sensi dell′articolo 9, commi 4 e 5, del DPR n. 44/90 . In particolare la Consulta ha stabilito che il computo dell′anzianità di servizio utile al calcolo della maggiorazione RIA (per il raggiungimento dei 5, 10, 20 anni di anzianità di servizio) non è limitato al termine del 31 dicembre 1990 (come la L. 388/2000 ha voluto interpretare) ma comprende anche il periodo di proroga del triennio 1991-1993, come previsto dal D.L. n. 384 del 1992.
Sarebbe prudente attendere gli ulteriori sviluppi, gli effetti e le conseguenze della sentenza dalla Corte Costituzionale che vanno letti alla luce delle sentenze della Corte di Cassazione, in particolare con quella a Sez. unite n. 36197/2023, in merito alla decorrenza della prescrizione per il lavoratore che non ha mai proposto il ricorso e lo stesso era sospeso in attesa della sentenza della Consulta o non abbia interrotto i termini prescrizionali quinquennali i crediti eventualmente maturati nellanno 1993 sarebbero prescritti nel 1998.
Ad oggi è sicuramente possibile beneficiare degli effetti favorevoli della Sentenza della Corte Costituzionale, se il giudizio sul ricorso proposto dallinteressato sia stato sospeso in attesa di conoscere il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legittimità della norma, oppure se linteressato abbia sistematicamente interrotta la prescrizione, avendo proposto la relativa istanza di interruzione dei termini quinquennali prima della relativa scadenza, e reiterandola periodicamente ad ogni quinquennio.
Per coloro i quali non si trovano nelle due situazioni sopra descritte, si potrebbe comunque inviare una diffida alla propria amministrazione. La diffida è senza rischi ma è chiaro che, in caso di diniego da parte dellamministrazione, il passo successivo dovrebbe essere il ricorso in giudizio rispetto al quale è doveroso evidenziare lincertezza e i rischi connessi allavvio di un eventuale contenzioso.
Di seguito il passo fondamentale della Sentenza della Corte Costituzionale n. 4/2024 :
6. Nel merito, le questioni sono fondate in riferimento agli artt. 3, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., questultimo in relazione allart. 6 CEDU.
7. Occorre innanzitutto evidenziare che, diversamente da quanto sostenuto dallAvvocatura dello Stato, la disposizione censurata è priva dei caratteri della legge di interpretazione autentica, avendo invece la portata di una legge innovativa con efficacia retroattiva.
7.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la disposizione di interpretazione autentica è quella che, qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore, esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a quelli riconducibili alla previsione interpretata secondo gli ordinari criteri dellinterpretazione della legge (sentenza n. 133 del 2020). Diversamente, nel caso in cui la disposizione, pur autoqualificantesi interpretativa, attribuisce alla disposizione interpretata un significato nuovo, non rientrante tra quelli già estraibili dal testo originario della disposizione medesima, essa è innovativa con efficacia retroattiva (sentenze n. 61 del 2022, n. 133 del 2020, n. 209 del 2010 e n. 155 del 1990) (sentenza n. 104 del 2022).
7.2. Nel caso in esame, lart. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, lungi dallaver assegnato allart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, uno dei possibili significati normativi ad esso attribuibili, ha conferito allo stesso un nuovo significato che non era ricavabile dal testo della legge.
7.2.1. Sul punto, occorre premettere che listituto della RIA era stato disciplinato dal d.P.R. n. 44 del 1990, il quale aveva recepito laccordo sindacale del 26 settembre 1989 concernente il personale dei Ministeri e degli altri enti di cui allart. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68 (Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui allart. 5 della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93). In particolare, lart. 9, comma 4, del d.P.R. n. 44 del 1990 aveva riconosciuto alcune maggiorazioni della RIA in favore del personale che alla data del 1° gennaio 1990 avesse acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio o che avesse maturato detto quinquennio nellarco della vigenza contrattuale; nel successivo comma 5 era stato previsto il raddoppio o la quadruplicazione delle somme dovute a titolo di maggiorazione della RIA al personale che, nellarco della vigenza contrattuale, avesse maturato, rispettivamente, dieci o venti anni di servizio, previo riassorbimento delle precedenti maggiorazioni.
Lart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, tenendo ferma sino al 31 dicembre 1993 la vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e successive modificazioni e integrazioni ha prorogato al triennio 1991-1993 lefficacia dellintero d.P.R. n. 44 del 1990, la cui scadenza originaria era fissata al 31 dicembre 1990 (art. 1, comma 1, del d.P.R. citato).
Alla luce di tale proroga legislativa, larco della vigenza contrattuale cui facevano riferimento i citati commi 4 e 5 dellart. 9 di tale d.P.R. ai fini della maturazione delle anzianità di servizio per il riconoscimento della maggiorazione della RIA doveva chiaramente intendersi come riferito al nuovo termine di efficacia dello stesso d.P.R. (31 dicembre 1993) e non già al termine originariamente previsto (31 dicembre 1990).
Daltra parte, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa, la disciplina di origine pattizia contenuta in tale decreto rappresentava un unicum indivisibile (Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522). Proprio in ragione di tale indivisibilità, leventuale volontà del legislatore di escludere dalla proroga alcuni istituti retributivi contenuti nel d.P.R. n. 44 del 1990 come quelli legati alle maggiorazioni della RIA avrebbe richiesto una esplicita previsione normativa, come è peraltro avvenuto con riferimento alla disposizione che ha espressamente impedito, per esigenze di contenimento della spesa, loperatività degli automatismi stipendiali per il solo anno 1993 (art. 7, comma 3, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito).
7.2.2. In definitiva, stante lassenza nellart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, di qualsiasi dato testuale da cui potesse ricavarsi la volontà del legislatore di impedire loperatività della disciplina sulla RIA nel triennio 1991-1993, lart. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 nellescludere che la proroga del d.P.R. n. 44 del 1990 al 31 dicembre 1993 potesse estendere anche il termine per la maturazione delle anzianità di servizio ai fini delle maggiorazioni della RIA ha attribuito retroattivamente alla disposizione originaria un nuovo significato, non rientrante tra quelli estraibili dal suo testo.
8. Una volta esclusa la natura autenticamente interpretativa della disposizione, dinanzi a leggi aventi efficacia retroattiva questa Corte è chiamata ad esercitare uno scrutinio particolarmente rigoroso: ciò in ragione della centralità che assume il principio di non retroattività della legge, inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.), ma anche in altri settori dellordinamento (sentenze n. 174 del 2019, n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013) (sentenza n. 145 del 2022).
Il controllo di costituzionalità diviene ancor più stringente qualora lintervento legislativo retroattivo incida su giudizi ancora in corso, specialmente nel caso in cui sia coinvolta nel processo unamministrazione pubblica. Infatti, tanto i principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, quanto i principi concernenti leffettività della tutela giurisdizionale e la parità delle parti in giudizio, impediscono al legislatore di risolvere, con legge, specifiche controversie e di determinare, per questa via, uno sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte nel giudizio (tra le altre, sentenze n. 201 e n. 46 del 2021, n. 12 del 2018 e n. 191 del 2014).
8.1. Con riguardo al sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive incidenti su giudizi in corso, ha assunto un rilievo sempre più decisivo la giurisprudenza della Corte EDU (tra le altre, sentenze 24 giugno 2014, Azienda agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro Italia, paragrafo 47). Ciò in virtù della funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea (sentenza n. 348 del 2007).
Come chiarito da questa Corte, infatti, nel sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive si è ormai pervenuti alla costruzione di una solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU, che consente di leggere in stretto coordinamento i parametri interni con quelli convenzionali al fine di massimizzarne lespansione in un rapporto di integrazione reciproca (sentenza n. 145 del 2022).
Sulla base di tale sinergia, questa Corte è chiamata innanzitutto a verificare se lintervento legislativo retroattivo sia effettivamente preordinato a condizionare lesito di giudizi pendenti. A tal fine, assumono rilievo sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU alcuni elementi, ritenuti sintomatici delluso distorto della funzione legislativa e riferibili principalmente al metodo e alla tempistica seguiti dal legislatore (così, sentenza n. 12 del 2018; nello stesso senso, sentenze n. 145 del 2022 e n. 174 del 2019). Occorre dunque effettuare una verifica di legittimità costituzionale che in maniera non dissimile dal sindacato sulleccesso di potere amministrativo mediante limpiego di figure sintomatiche assicuri una particolare estensione e intensità del controllo sul corretto uso del potere legislativo.
8.2. Tra gli elementi sintomatici delluso distorto del potere legislativo, appare innanzitutto significativo il fatto che lo Stato o lamministrazione pubblica siano parti di un processo già radicato e che lintervento legislativo si collochi a notevole distanza dallentrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica (sentenza n. 174 del 2019).
Nel caso in esame, lart. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 è entrato in vigore il 1° gennaio 2001 e, quindi, ben nove anni dopo lart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, quando erano pendenti diversi giudizi promossi da dipendenti nei confronti di amministrazioni pubbliche.
8.3. È altresì rilevante, come elemento sintomatico, il fatto che lo si è anticipato supra, al punto 7.2.2. la disposizione censurata, pur essendosi auto-qualificata come interpretativa, abbia in realtà introdotto un significato che non si poteva in alcun modo evincere dal testo dellart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito.
8.4. Ma, soprattutto, risulta decisivo il fatto che il legislatore abbia adottato la disposizione censurata per superare un orientamento giurisprudenziale consolidato, al fine specifico di incidere su giudizi ancora pendenti in cui era parte lamministrazione pubblica, fatta salva la sola esecuzione dei giudicati già formatisi alla data di entrata in vigore della disposizione medesima.
Va infatti evidenziato che, nellambito di controversie promosse da dipendenti pubblici ai fini del riconoscimento delle maggiorazioni della RIA ai sensi dellart. 9, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 44 del 1990, il Consiglio di Stato aveva chiaramente affermato che la proroga legislativa dellefficacia del d.P.R. n. 44 del 1990 al triennio 1991-1993 (disposta dallart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito) avesse modificato anche il termine utile ai fini del calcolo delle anzianità di servizio necessarie alla maturazione di tali maggiorazioni: con la conseguenza che i dipendenti pubblici sino allentrata in vigore della disposizione censurata si sono visti riconoscere le maggiorazioni sulla base di anzianità di servizio maturate successivamente al 31 dicembre 1990 (tra le altre, si veda Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522).
In un simile contesto, il legislatore è intervenuto, con la disposizione censurata, al fine specifico di superare tale orientamento giurisprudenziale, nella consapevolezza della grande diffusione del contenzioso promosso dai dipendenti pubblici per il riconoscimento delle maggiorazioni della RIA in relazione al triennio 1991-1993. Tale finalità emerge in maniera incontrovertibile dalla documentazione predisposta dagli uffici parlamentari a illustrazione dei contenuti dellart. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, ove si sottolinea che [l]iniziativa è giustificata dalla considerazione che è intervenuta una giurisprudenza del Consiglio di Stato [] ormai consolidata che riconosce lultrattività al 31 dicembre 1992 degli accordi di comparto ai fini della maturazione dellanzianità di servizio utile per il conseguimento del beneficio, la quale, laddove è [e]stesa alla generalità del personale interessato, comporterebbe rilevanti effetti di spesa per la corresponsione del beneficio, avente per altro decorrenza retroattiva.
8.5. Né, infine, può ritenersi che lintervento legislativo in questione trovasse una ragionevole giustificazione nellesigenza di tutelare principi, diritti e beni costituzionali, posto che, come ha chiarito la Corte EDU, solo imperative ragioni di interesse generale possono consentire uninterferenza del legislatore su giudizi in corso; i principi dello stato di diritto e del giusto processo impongono che tali ragioni siano trattate con il massimo grado di circospezione possibile (sentenza 14 febbraio 2012, Arras contro Italia, paragrafo 48).
8.5.1. In ragione di ciò, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto compatibili con lart. 6 CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti su giudizi in corso, là dove i soggetti ricorrenti avevano tentato di approfittare dei difetti tecnici della legislazione (sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society e Yorkshire Building Society contro Regno Unito, paragrafo 112), o avevano cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione medesima, cui lingerenza del legislatore mirava a porre rimedio (sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 69) (sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, è stato valorizzato il fatto che lintervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una serie più ampia di conflitti conseguenti alla riunificazione tedesca, al fine di assicurare in modo duraturo la pace e la sicurezza giuridica in Germania (20 febbraio 2003, ForrerNiedenthal c. Germania, paragrafo 64).
Allinfuori di tali ragioni imperative di interesse generale, la Corte EDU ha ritenuto che le considerazioni finanziarie non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie (sentenza 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia, paragrafo 132; sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo 37). Anche questa Corte ha sottolineato che, in linea di principio, i soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso (sentenze n. 174 e n. 108 del 2019, e n. 170 del 2013) (sentenza n. 145 del 2022).
8.5.2. Nel caso in esame non emerge, né dai lavori preparatori, né dalle relazioni tecnica e illustrativa, alcuna ulteriore ragione giustificatrice dellintervento legislativo retroattivo rispetto allesigenza di assicurare un risparmio della spesa pubblica, in considerazione di orientamenti giurisprudenziali che stavano riconoscendo tutela alle pretese economiche dei dipendenti nei confronti delle amministrazioni pubbliche di appartenenza.
Come chiarito nella sopramenzionata documentazione predisposta dagli uffici parlamentari e nella stessa relazione illustrativa, la disposizione censurata mirava ad evitare gli aggravi di spesa conseguenti allestensione, alla generalità del personale interessato dal d.P.R. n. 44 del 1990, della giurisprudenza del Consiglio di Stato sui termini per la maturazione dellanzianità di servizio utile ai fini del conseguimento della maggiorazione della RIA. A riprova di ciò, nella relazione tecnica è stato evidenziato che lapprovazione della disposizione impugnata avrebbe determinato un risparmio, posto che alcune amministrazioni avevano già tenuto conto nelle previsioni tendenziali di spesa delle maggiori esigenze derivanti dal consolidamento dellindirizzo giurisprudenziale.
8.5.3. In ultimo, non può neanche ritenersi, come sostenuto dallAvvocatura dello Stato, che lintervento legislativo fosse giustificato dalla finalità di eliminare una disparità di trattamento tra i dipendenti che avrebbero maturato le anzianità di servizio prima del 31 dicembre 1990 (data originariamente prevista dallart. 1, comma 1, del d.P.R. n. 44 del 1990) e coloro che avrebbero potuto maturare tali anzianità di servizio anche dopo tale data.
Infatti, alla luce della proroga dellintera disciplina contrattuale contenuta nel d.P.R. n. 44 del 1990 sino al 31 dicembre 1993, la possibilità per i dipendenti di maturare lanzianità di servizio necessaria alla maggiorazione della RIA anche nel corso del nuovo periodo di vigenza del d.P.R. n. 44 del 1990 (1991-1993) rispondeva pienamente a ragioni di eguaglianza e di giustizia del sistema retributivo. Semmai, è stata la disposizione censurata ad aver causato una ingiustificata differenziazione retributiva a danno di quei dipendenti pubblici che, diversamente da quanto avvenuto in relazione al triennio 1988-1990, non hanno potuto valorizzare lanzianità di servizio maturata nel successivo triennio 1991-1993 ai fini delle maggiorazioni della RIA.
9. In ragione di tutto ciò, la disposizione censurata, avendo introdotto una norma innovativa ad efficacia retroattiva, al fine specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la stessa amministrazione pubblica, e in assenza di ragioni imperative di interesse generale, si è posta in contrasto con i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost, questultimo in relazione allart. 6 CEDU, nonché con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dellordinamento giuridico di cui allart. 3 Cost.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara lillegittimità costituzionale dellart. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2023.
Sarebbe prudente attendere gli ulteriori sviluppi, gli effetti e le conseguenze della sentenza dalla Corte Costituzionale che vanno letti alla luce delle sentenze della Corte di Cassazione, in particolare con quella a Sez. unite n. 36197/2023, in merito alla decorrenza della prescrizione per il lavoratore che non ha mai proposto il ricorso e lo stesso era sospeso in attesa della sentenza della Consulta o non abbia interrotto i termini prescrizionali quinquennali i crediti eventualmente maturati nellanno 1993 sarebbero prescritti nel 1998.
Ad oggi è sicuramente possibile beneficiare degli effetti favorevoli della Sentenza della Corte Costituzionale, se il giudizio sul ricorso proposto dallinteressato sia stato sospeso in attesa di conoscere il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legittimità della norma, oppure se linteressato abbia sistematicamente interrotta la prescrizione, avendo proposto la relativa istanza di interruzione dei termini quinquennali prima della relativa scadenza, e reiterandola periodicamente ad ogni quinquennio.
Per coloro i quali non si trovano nelle due situazioni sopra descritte, si potrebbe comunque inviare una diffida alla propria amministrazione. La diffida è senza rischi ma è chiaro che, in caso di diniego da parte dellamministrazione, il passo successivo dovrebbe essere il ricorso in giudizio rispetto al quale è doveroso evidenziare lincertezza e i rischi connessi allavvio di un eventuale contenzioso.
Di seguito il passo fondamentale della Sentenza della Corte Costituzionale n. 4/2024 :
6. Nel merito, le questioni sono fondate in riferimento agli artt. 3, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost., questultimo in relazione allart. 6 CEDU.
7. Occorre innanzitutto evidenziare che, diversamente da quanto sostenuto dallAvvocatura dello Stato, la disposizione censurata è priva dei caratteri della legge di interpretazione autentica, avendo invece la portata di una legge innovativa con efficacia retroattiva.
7.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la disposizione di interpretazione autentica è quella che, qualificata formalmente tale dallo stesso legislatore, esprime, anche nella sostanza, un significato appartenente a quelli riconducibili alla previsione interpretata secondo gli ordinari criteri dellinterpretazione della legge (sentenza n. 133 del 2020). Diversamente, nel caso in cui la disposizione, pur autoqualificantesi interpretativa, attribuisce alla disposizione interpretata un significato nuovo, non rientrante tra quelli già estraibili dal testo originario della disposizione medesima, essa è innovativa con efficacia retroattiva (sentenze n. 61 del 2022, n. 133 del 2020, n. 209 del 2010 e n. 155 del 1990) (sentenza n. 104 del 2022).
7.2. Nel caso in esame, lart. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, lungi dallaver assegnato allart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, uno dei possibili significati normativi ad esso attribuibili, ha conferito allo stesso un nuovo significato che non era ricavabile dal testo della legge.
7.2.1. Sul punto, occorre premettere che listituto della RIA era stato disciplinato dal d.P.R. n. 44 del 1990, il quale aveva recepito laccordo sindacale del 26 settembre 1989 concernente il personale dei Ministeri e degli altri enti di cui allart. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68 (Determinazione e composizione dei comparti di contrattazione collettiva, di cui allart. 5 della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983, n. 93). In particolare, lart. 9, comma 4, del d.P.R. n. 44 del 1990 aveva riconosciuto alcune maggiorazioni della RIA in favore del personale che alla data del 1° gennaio 1990 avesse acquisito esperienza professionale con almeno cinque anni di effettivo servizio o che avesse maturato detto quinquennio nellarco della vigenza contrattuale; nel successivo comma 5 era stato previsto il raddoppio o la quadruplicazione delle somme dovute a titolo di maggiorazione della RIA al personale che, nellarco della vigenza contrattuale, avesse maturato, rispettivamente, dieci o venti anni di servizio, previo riassorbimento delle precedenti maggiorazioni.
Lart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, tenendo ferma sino al 31 dicembre 1993 la vigente disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, e successive modificazioni e integrazioni ha prorogato al triennio 1991-1993 lefficacia dellintero d.P.R. n. 44 del 1990, la cui scadenza originaria era fissata al 31 dicembre 1990 (art. 1, comma 1, del d.P.R. citato).
Alla luce di tale proroga legislativa, larco della vigenza contrattuale cui facevano riferimento i citati commi 4 e 5 dellart. 9 di tale d.P.R. ai fini della maturazione delle anzianità di servizio per il riconoscimento della maggiorazione della RIA doveva chiaramente intendersi come riferito al nuovo termine di efficacia dello stesso d.P.R. (31 dicembre 1993) e non già al termine originariamente previsto (31 dicembre 1990).
Daltra parte, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa, la disciplina di origine pattizia contenuta in tale decreto rappresentava un unicum indivisibile (Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522). Proprio in ragione di tale indivisibilità, leventuale volontà del legislatore di escludere dalla proroga alcuni istituti retributivi contenuti nel d.P.R. n. 44 del 1990 come quelli legati alle maggiorazioni della RIA avrebbe richiesto una esplicita previsione normativa, come è peraltro avvenuto con riferimento alla disposizione che ha espressamente impedito, per esigenze di contenimento della spesa, loperatività degli automatismi stipendiali per il solo anno 1993 (art. 7, comma 3, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito).
7.2.2. In definitiva, stante lassenza nellart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, di qualsiasi dato testuale da cui potesse ricavarsi la volontà del legislatore di impedire loperatività della disciplina sulla RIA nel triennio 1991-1993, lart. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 nellescludere che la proroga del d.P.R. n. 44 del 1990 al 31 dicembre 1993 potesse estendere anche il termine per la maturazione delle anzianità di servizio ai fini delle maggiorazioni della RIA ha attribuito retroattivamente alla disposizione originaria un nuovo significato, non rientrante tra quelli estraibili dal suo testo.
8. Una volta esclusa la natura autenticamente interpretativa della disposizione, dinanzi a leggi aventi efficacia retroattiva questa Corte è chiamata ad esercitare uno scrutinio particolarmente rigoroso: ciò in ragione della centralità che assume il principio di non retroattività della legge, inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.), ma anche in altri settori dellordinamento (sentenze n. 174 del 2019, n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013) (sentenza n. 145 del 2022).
Il controllo di costituzionalità diviene ancor più stringente qualora lintervento legislativo retroattivo incida su giudizi ancora in corso, specialmente nel caso in cui sia coinvolta nel processo unamministrazione pubblica. Infatti, tanto i principi costituzionali relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale, quanto i principi concernenti leffettività della tutela giurisdizionale e la parità delle parti in giudizio, impediscono al legislatore di risolvere, con legge, specifiche controversie e di determinare, per questa via, uno sbilanciamento tra le posizioni delle parti coinvolte nel giudizio (tra le altre, sentenze n. 201 e n. 46 del 2021, n. 12 del 2018 e n. 191 del 2014).
8.1. Con riguardo al sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive incidenti su giudizi in corso, ha assunto un rilievo sempre più decisivo la giurisprudenza della Corte EDU (tra le altre, sentenze 24 giugno 2014, Azienda agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro Italia, paragrafo 47). Ciò in virtù della funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea (sentenza n. 348 del 2007).
Come chiarito da questa Corte, infatti, nel sindacato di costituzionalità delle leggi retroattive si è ormai pervenuti alla costruzione di una solida sinergia fra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU, che consente di leggere in stretto coordinamento i parametri interni con quelli convenzionali al fine di massimizzarne lespansione in un rapporto di integrazione reciproca (sentenza n. 145 del 2022).
Sulla base di tale sinergia, questa Corte è chiamata innanzitutto a verificare se lintervento legislativo retroattivo sia effettivamente preordinato a condizionare lesito di giudizi pendenti. A tal fine, assumono rilievo sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU alcuni elementi, ritenuti sintomatici delluso distorto della funzione legislativa e riferibili principalmente al metodo e alla tempistica seguiti dal legislatore (così, sentenza n. 12 del 2018; nello stesso senso, sentenze n. 145 del 2022 e n. 174 del 2019). Occorre dunque effettuare una verifica di legittimità costituzionale che in maniera non dissimile dal sindacato sulleccesso di potere amministrativo mediante limpiego di figure sintomatiche assicuri una particolare estensione e intensità del controllo sul corretto uso del potere legislativo.
8.2. Tra gli elementi sintomatici delluso distorto del potere legislativo, appare innanzitutto significativo il fatto che lo Stato o lamministrazione pubblica siano parti di un processo già radicato e che lintervento legislativo si collochi a notevole distanza dallentrata in vigore delle disposizioni oggetto di interpretazione autentica (sentenza n. 174 del 2019).
Nel caso in esame, lart. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 è entrato in vigore il 1° gennaio 2001 e, quindi, ben nove anni dopo lart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito, quando erano pendenti diversi giudizi promossi da dipendenti nei confronti di amministrazioni pubbliche.
8.3. È altresì rilevante, come elemento sintomatico, il fatto che lo si è anticipato supra, al punto 7.2.2. la disposizione censurata, pur essendosi auto-qualificata come interpretativa, abbia in realtà introdotto un significato che non si poteva in alcun modo evincere dal testo dellart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito.
8.4. Ma, soprattutto, risulta decisivo il fatto che il legislatore abbia adottato la disposizione censurata per superare un orientamento giurisprudenziale consolidato, al fine specifico di incidere su giudizi ancora pendenti in cui era parte lamministrazione pubblica, fatta salva la sola esecuzione dei giudicati già formatisi alla data di entrata in vigore della disposizione medesima.
Va infatti evidenziato che, nellambito di controversie promosse da dipendenti pubblici ai fini del riconoscimento delle maggiorazioni della RIA ai sensi dellart. 9, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 44 del 1990, il Consiglio di Stato aveva chiaramente affermato che la proroga legislativa dellefficacia del d.P.R. n. 44 del 1990 al triennio 1991-1993 (disposta dallart. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito) avesse modificato anche il termine utile ai fini del calcolo delle anzianità di servizio necessarie alla maturazione di tali maggiorazioni: con la conseguenza che i dipendenti pubblici sino allentrata in vigore della disposizione censurata si sono visti riconoscere le maggiorazioni sulla base di anzianità di servizio maturate successivamente al 31 dicembre 1990 (tra le altre, si veda Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522).
In un simile contesto, il legislatore è intervenuto, con la disposizione censurata, al fine specifico di superare tale orientamento giurisprudenziale, nella consapevolezza della grande diffusione del contenzioso promosso dai dipendenti pubblici per il riconoscimento delle maggiorazioni della RIA in relazione al triennio 1991-1993. Tale finalità emerge in maniera incontrovertibile dalla documentazione predisposta dagli uffici parlamentari a illustrazione dei contenuti dellart. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, ove si sottolinea che [l]iniziativa è giustificata dalla considerazione che è intervenuta una giurisprudenza del Consiglio di Stato [] ormai consolidata che riconosce lultrattività al 31 dicembre 1992 degli accordi di comparto ai fini della maturazione dellanzianità di servizio utile per il conseguimento del beneficio, la quale, laddove è [e]stesa alla generalità del personale interessato, comporterebbe rilevanti effetti di spesa per la corresponsione del beneficio, avente per altro decorrenza retroattiva.
8.5. Né, infine, può ritenersi che lintervento legislativo in questione trovasse una ragionevole giustificazione nellesigenza di tutelare principi, diritti e beni costituzionali, posto che, come ha chiarito la Corte EDU, solo imperative ragioni di interesse generale possono consentire uninterferenza del legislatore su giudizi in corso; i principi dello stato di diritto e del giusto processo impongono che tali ragioni siano trattate con il massimo grado di circospezione possibile (sentenza 14 febbraio 2012, Arras contro Italia, paragrafo 48).
8.5.1. In ragione di ciò, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto compatibili con lart. 6 CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti su giudizi in corso, là dove i soggetti ricorrenti avevano tentato di approfittare dei difetti tecnici della legislazione (sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society e Yorkshire Building Society contro Regno Unito, paragrafo 112), o avevano cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione medesima, cui lingerenza del legislatore mirava a porre rimedio (sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 69) (sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, è stato valorizzato il fatto che lintervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una serie più ampia di conflitti conseguenti alla riunificazione tedesca, al fine di assicurare in modo duraturo la pace e la sicurezza giuridica in Germania (20 febbraio 2003, ForrerNiedenthal c. Germania, paragrafo 64).
Allinfuori di tali ragioni imperative di interesse generale, la Corte EDU ha ritenuto che le considerazioni finanziarie non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie (sentenza 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia, paragrafo 132; sentenza 11 aprile 2006, Cabourdin c. Francia, paragrafo 37). Anche questa Corte ha sottolineato che, in linea di principio, i soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso (sentenze n. 174 e n. 108 del 2019, e n. 170 del 2013) (sentenza n. 145 del 2022).
8.5.2. Nel caso in esame non emerge, né dai lavori preparatori, né dalle relazioni tecnica e illustrativa, alcuna ulteriore ragione giustificatrice dellintervento legislativo retroattivo rispetto allesigenza di assicurare un risparmio della spesa pubblica, in considerazione di orientamenti giurisprudenziali che stavano riconoscendo tutela alle pretese economiche dei dipendenti nei confronti delle amministrazioni pubbliche di appartenenza.
Come chiarito nella sopramenzionata documentazione predisposta dagli uffici parlamentari e nella stessa relazione illustrativa, la disposizione censurata mirava ad evitare gli aggravi di spesa conseguenti allestensione, alla generalità del personale interessato dal d.P.R. n. 44 del 1990, della giurisprudenza del Consiglio di Stato sui termini per la maturazione dellanzianità di servizio utile ai fini del conseguimento della maggiorazione della RIA. A riprova di ciò, nella relazione tecnica è stato evidenziato che lapprovazione della disposizione impugnata avrebbe determinato un risparmio, posto che alcune amministrazioni avevano già tenuto conto nelle previsioni tendenziali di spesa delle maggiori esigenze derivanti dal consolidamento dellindirizzo giurisprudenziale.
8.5.3. In ultimo, non può neanche ritenersi, come sostenuto dallAvvocatura dello Stato, che lintervento legislativo fosse giustificato dalla finalità di eliminare una disparità di trattamento tra i dipendenti che avrebbero maturato le anzianità di servizio prima del 31 dicembre 1990 (data originariamente prevista dallart. 1, comma 1, del d.P.R. n. 44 del 1990) e coloro che avrebbero potuto maturare tali anzianità di servizio anche dopo tale data.
Infatti, alla luce della proroga dellintera disciplina contrattuale contenuta nel d.P.R. n. 44 del 1990 sino al 31 dicembre 1993, la possibilità per i dipendenti di maturare lanzianità di servizio necessaria alla maggiorazione della RIA anche nel corso del nuovo periodo di vigenza del d.P.R. n. 44 del 1990 (1991-1993) rispondeva pienamente a ragioni di eguaglianza e di giustizia del sistema retributivo. Semmai, è stata la disposizione censurata ad aver causato una ingiustificata differenziazione retributiva a danno di quei dipendenti pubblici che, diversamente da quanto avvenuto in relazione al triennio 1988-1990, non hanno potuto valorizzare lanzianità di servizio maturata nel successivo triennio 1991-1993 ai fini delle maggiorazioni della RIA.
9. In ragione di tutto ciò, la disposizione censurata, avendo introdotto una norma innovativa ad efficacia retroattiva, al fine specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la stessa amministrazione pubblica, e in assenza di ragioni imperative di interesse generale, si è posta in contrasto con i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost, questultimo in relazione allart. 6 CEDU, nonché con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dellordinamento giuridico di cui allart. 3 Cost.
dichiara lillegittimità costituzionale dellart. 51, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2023.