Risarcimento del danno da cosa in custodia
Onere della prova e nesso causale
In primo grado, il Tribunale di Novara accogliendo in parte la domanda degli eredi che sostenevano come concausa dell′incidente una anomalia del manto della strada gestita dall′Anas, aveva affermato che l′imprudenza della vittima aveva inciso per il 60%, mentre il difetto stradale per il rimanente 40%, liquidando il risarcimento in 160mila euro. La Corte di Appello di Torino ha invece accolto l′appello incidentale di Anas, rigettando quello principale, ed ha ritenuto la responsabilità esclusiva del motociclista. Per il giudice di secondo grado non era provato che le condizioni del manto stradale avessero concorso a causare il danno ed ha ritenuto che non era "né certo né altamente probabile che la cosa avesse contributo al danno".
Per il ricorrente, tuttavia, pretendendo non già una probabilità superiore alla tesi contraria, ma la certezza o l′elevata probabilità, la Corte di appello avrebbe violato il criterio secondo cui il nesso di causa deve ritenersi accertato quando la tesi a suo favore è più probabile di quella contraria.
Una affermazione condivisa dalla Cassazione secondo cui il nesso di causa è provato quando la tesi a favore (del fatto che un evento sia causa di un altro) è più probabile di quella contraria (che quell′evento non sia causa dell′altro): il che si esprime con la formula del "più probabile che no". "Naturalmente prosegue - la probabilità riguarda il grado dell′inferenza, ossia: dai determinati indizi è probabile (più probabile che no) che la causa sia quella indicata dal danneggiato, ma non riguarda la rilevanza degli stessi indizi, che invece devono essere non già probabili, ma gravi, precisi e concordanti".
Con la conseguenza che il giudice di merito deve porre a base della decisione fatti che siano gravi, precisi e concordanti, e non meramente ipotetici o supposti come probabili, e da quei fatti deve indurre ipotesi ricostruttive del nesso di causa escludendo quelle meno probabili, e scegliendo, tra quelle rimaste, l′ipotesi che spiega il fatto con maggiore probabilità, sulla base degli indizi raccolti.
Non serve dunque "né la certezza, né una elevata probabilità, come assunto dalla Corte di merito, bensì una valutazione delle ipotesi alternative e la scelta di quella più probabile, anche se di poco, rispetto alle altre, che non necessariamente si ponga come di elevata probabilità".
Questo si spiega, argomenta la Cassazione, "per il fatto che le probabilità numeriche di un fatto (che la cosa abbia concorso al danno) non necessariamente ammontano al 100%, ossia: data la tesi X e quella contraria Y, non necessariamente la loro somma porta al 100% (nel senso che la prima è data al 60% e l′altra al 40%, ad esempio). Ciò accade perché c′è sempre spazio per altre spiegazioni, molto meno probabili, che sono date ad una percentuale minore". Così che, scartate queste ultime, può accadere che le rimanenti, ad esempio quella sostenuta dall′attore e quella sostenuta dal convenuto, abbiano l′una il 30% e l′altra il 20%: "la regola del più probabile che no, porta ad affermare come fondata la prima delle due, anche se non caratterizzata da una elevata probabilità, come ha preteso la corte di merito, quanto piuttosto di una probabilità maggiore dell′altra ipotesi".
br> Invece, la sentenza impugnata ha dato per provata l′incidenza causale della condotta del danneggiato sulla base di una valutazione meramente ipotetica ricavata dalla CTU (come la velocità tenuta dalla vittima), e non nei termini dell′efficienza causale richiesta per potersi considerare fatto liberatorio.